Immaginate di trovarvi in Silicon Valley, in una delle Ict companies che in questi anni ha fatto registrare le performance più brillanti, con uno degli uomini che hanno guidato questa crescita, e lo avete come docente per una breve lezione su leadership e innovazione, sempre nell’ambito di quel “mindset” che siete venuti a studiare in questa terra bellissima; immaginate che la lezione sia intrigante e originale, che sia lucido il modo di parlare delle organizzazioni e della motivazione dei singoli, e che alla fine vi venga da dire: come si fa a non vedere in questa descrizione un quadro lucido di ciò che avviene nelle aziende e nelle organizzazioni in genere?
Anche questa è una delle esperienze straordinarie che abbiamo potuto fare nel programma di “Immersion” in Silicon Valley con TVLP, e in effetti tutte le 22 persone che oggi erano con me si sono dette molto soddisfatte di una testimonianza approfondita ma non pallosa, pronta a motivare ma non a proporre una vita aziendale che non c’è, con una visione cioè disincantata e reale di quel che accade nelle aziende. Poi accade una cosa: senti uno dei partecipanti che fa una domanda sulla strategia e su chi in quella azienda la decide, e la risposta è “100% il CEO”, e verso la fine dell’incontro qualcuno chiede chi definisca la vision e la mission, e la risposta è di nuovo “100 il CEO”.
Allora ti fermi un attimo e ti chiedi se sia l’unica e la migliore risposta possibile, e ti fermi a riflettere. Ricordi a te stesso che, se Machiavelli diceva che gli Stati non si governano con i Pater Noster, anche nelle aziende non si può avere una visione romantica, ma pensi anche che fra il giusto realismo e l’assoluta unilateralità delle decisioni, ci possono essere soluzioni intermedie, difficili da costruire, ma possibili. Sì, possibili con la fatica di un management che coinvolga più persone anche se non tutti (una company non è una democrazia), anche se poi le decisioni sono di alcuni (ma non … di uno solo e al 100%).
Archivi questo secondo gruppo di pensieri, che ti accorgi di condividere, e ti chiedi se non sia una buona idea invitare in Federmanger Academy questo docente, forse un po’ troppo duro ma bravo, un’ottima figura per aprire un confronto con un altro gruppo di manager italiani. Qui non ci sono dubbi, mi alzo, vado a dargli la business card e gli chiedo l’indirizzo mail: gli dico che se ha modo di venire in Italia, lo avremmo volentieri come docente a Roma o dove vorrà. E così avremmo un po’ più di tempo per confrontarci e forse chiarire meglio, con un grande manager che oggi fa il coach e prepara nuove figure- Quando uno è bravo, continua ad essere bravo anche se hai l’impressione di non condividere alcune delle sue idee.